Un commento alla proposta di legge per il Wi Fi libero, a cura di Giorgio Rapari
Articolo originale su Cor.Com
Per commentare il disegno di legge sul Wi Fi libero, che oggi raccoglie pareri accesi e contrastanti, voglio partire da una distinzione apparentemente fuori tema. E’ quella fra Vision e Mission, da un lato, e obiettivi e loro implementazione, dall’altro: due dimensioni diverse, anche se collegate, che bisogna tenere a mente, se si fa strategia. Noi abbiamo un Paese in cui il digital divide è alto, è giusto spingere in là lo sguardo e osare il pensiero verso un’Italia senza più arretratezza digitale, finalmente alla pari per competere con gli altri Paesi. Il disegno di legge sul Wi Fi, che oggi fa tanto scalpore, guarda avanti, è ambizioso e ha una missione lodevole. E’ la sua declinazione concreta, in altre parole i risultati e i mezzi, che fa acqua.
Cominciamo dallo stesso concetto di digital divide e distinguiamo: esiste una dimensione culturale, legata a chi non percepisce l’utilità delle tecnologie, ed una dimensione infrastrutturale, di chi non ha accesso alla banda larga ed è tagliato fuori dall’utilizzo del web.
Ecco il primo punto: ci sono intere aree di questo Paese che ne soffrono, ci sono migliaia di imprese che non possono beneficiare dell’internet veloce e quindi della virtualizzazione dei processi, del cloud, dell’uso avanzato del web. Come risolvere il problema? Facendole andare con un PC portatile a lavorare dal salumiere (lo dico per smaccata simpatia, non me ne vogliano tutti gli altri locali commerciali per cui varrebbe la stessa cosa), che peraltro non potrà dar loro una connessione veloce in quanto in quella zona essa non arriva del tutto?
Ma se anche, per puro miracolo, così non fosse, tutti capiamo che sarebbe irrealistico. Allora possiamo pensare che questa misura non sia per le imprese ma per il cittadino, che andando dal salumiere a fare la spesa si connette con un dispositivo mobile alla rete, tipicamente per giocarci. Che beneficio gli porta?
Il medesimo cittadino, indossati gli abiti del lavoratore in trasferta, attende alla stazione un treno e nel frattempo potrebbe voler connettersi per lavorare: ecco lì avrebbe allora senso un wi fi disponibile e libero. Ma non dal nostro salumiere.
L’aspetto “consumer” del divario digitale è veramente l’obiettivo minore a cui guardare: l’Italia è uno dei primi Paesi per utilizzo di smartphone e facebook, la tecnologia da noi prende piede facilmente. Quello che fa fatica è il passaggio – per osmosi – all’impresa. Già lo rilevammo con Assintel nel lontano 2004, con l’indagine sul digital divide nella piccola e micro impresa: allora come oggi una bella fetta di imprenditori riteneva il “digitale” una spesa inutile rispetto al proprio business.
In tutto ciò non mi sono ancora messo dei panni di chi eroga per lavoro servizi di connettività e che giornalmente affronta la sfida di garantire un servizio costante e di qualità. Chi garantirebbe la qualità della connessione della birreria o del negozio di scarpe? Perché se il cittadino di cui sopra vi andasse per trovare un accesso al web e poi esso fosse debole e scostante, otterremmo l’effetto contrario.
Non solo. Come garantire l’utente rispetto ai propri dati e alla tutela della privacy?
Tutto torna, la questione ha molte facce e la proposta sul Wi Fi libero non riesce a comprenderle e portarle a sintesi virtuosa. Allora provo per un attimo a mettermi sul loro medesimo piano, quello della mission, e mi scopro con sorpresa “socialista digitale”: se lo Stato ritiene che l’ICT sia un bene primario e strategico che deve essere disponibile per tutti i cittadini a costo zero, allora deve prendersene carico, di tasca sua, remunerando adeguatamente le realtà e i professionisti che contribuiscono a garantire il funzionamento dell’ecosistema digitale. E lasciando stare i salumieri.