Nuovo Governo e orizzonti digitali:
riflessioni e priorità,
senza peli sulla lingua.
L'articolo di Giorgio Rapari sul Corriere delle Comunicazioni
E governo fu!
Che sia poi luce, in questo frangente di oscurità economica, politica e socio-culturale, potremo dirlo solo a conti fatti, basandoci esclusivamente sui risultati. Perché l’emergenza è tale che abbiamo il dovere di valutare solo i fatti, e non più i buoni propositi né le parole. E su questo siamo bravi, non c’è che dire.
Per noi, che rappresentiamo le imprese e gli imprenditori innovativi, è tempo di cose concrete. Avevamo plaudito al cosiddetto Decreto Crescita 2.0, per noi una delle novità più interessanti del Governo tecnico.
Avevamo plaudito all’Agenda Digitale, che si delineava come il primo abbozzo di piano strategico che creasse una regia in favore dell’evoluzione digitale di tutto il Paese.
“Avevamo”: trapassato prossimo.
Perché su diciannove delle novità previste, quelle effettivamente in vigore si contano sulle dita di una mano. Per le altre ci attendono tempi lunghi, ovvero decreti attuativi e infinite concertazioni fra le strutture e i ministeri fra i quali si parcellizza la titolarità di decisione.
Ecco il punto. Il primo e decisivo punto che in modo accorato rivolgo al nuovo Governo: sburocratizzare ed efficientare i processi per velocizzare e coordinare le decisioni e soprattutto la loro attuazione concreta.
La distribuzione dei nuovi Ministeri non lascia ben sperare. Non c’è un Ministro ad hoc per l’Innovazione, dunque al momento le sorti dell’Agenda Digitale dipendono dai singoli Ministeri di competenza. Con una forte componente in seno all’Economia, dove a Catricalà spetta un ruolo sì di “hub” relativo all’Agenda, ma come primus inter pares rispetto agli almeno altri quattro Ministeri che vi afferiscono.
Non ho una soluzione a portata di mano da proporre, spetta al sistema politico darla e in tempi brevi. La mia sollecitazione è di principio, sui criteri che dovrebbero essere adottati: efficienza, efficacia e velocità.
Stiamo perdendo giorno dopo giorno i treni che ci permetterebbero di uscire dalla crisi e porci alla pari rispetto ai Paesi competitor: in Europa siamo al quindicesimo posto nel gruppo dei “moderate innovators”, stabilmente sotto la media; il World Economic Forum ci classifica al cinquantunesimo posto nella nostra capacità di usare le tecnologie per sviluppare competitività e benessere per i cittadini. Se adottassimo tutte le indicazioni dell’Agenda Digitale (quella europea ne indica 101) Bruxelles stima che il nostro PIL potrebbe crescere fino al 5% e potrebbero nascere addirittura fino a 4 milioni di posti di lavoro.
Ma lasciamo i sogni un attimo nel cassetto, e continuiamo con un altro dato: il nostro rapporto fra R&I e PIL è uno dei più bassi fra i Paesi avanzati: questo è causato da un lato dalla struttura troppo piccola delle nostre imprese, ma dall’altro lato soprattutto dalla mancanza di un vero sistema di finanziamento dell’innovazione che sappia mettere a sistema strumenti pubblici e privati.
Finanziare l’innovazione, ecco il terzo tema dopo quello della governance e dell’efficienza dei processi. Che necessariamente va splittato in tre punti.
Dobbiamo innanzitutto uscire da politiche cieche di austerity, per permettere alla PA di riacquisire un sano ruolo anticiclico di spinta all’economia sana.
Dobbiamo imparare a creare reti di imprese e progetti per agganciarci ai finanziamenti europei, ormai proiettati sempre più verso l’impresa creativa e digitale.
E dobbiamo incanalare in modo stretto il sistema bancario privato a finanziare le imprese innovative e chi introduce innovazioni di prodotto e di processo.
Incentivando Venture e Seed Capital, certamente. Ma anche operando consistenti sgravi fiscali per chi innova e reinveste in innovazione. Infine serve una completa revisione del sistema di tassazione del lavoro, divenuto insostenibile: per noi imprese digitali e ICT il lavoro è il principale costo fisso, non avendo grandi costi legati a macchinari. Ed è anche il nostro primario patrimonio, tanto che parliamo sempre più insistentemente di talenti e non di addetti.
In tutto ciò, ci sono luci positive che arrivano dalla forza d’animo e dalla creatività del nostro sistema imprenditoriale. Che – nonostante la politica – è vivo e vegeto.
Con AssintelDigitale stiamo per uscire con una ricerca prima nel suo genere, Long Wave, che mappa l’intero ecosistema digitale.
I primi dati ci mostrano come la nuova impresa digitale è forse l’unica che cresce, per numero di imprese e per occupati. E ci mostra che la logica con cui agisce l’impresa nativa digitale è radicalmente diversa da quella tradizionale: dobbiamo gestire l’esistente ma soprattutto puntare su di esse!
Ma per fare questo servono approcci, linguaggi e politiche nuove.
Ecco la sfida, che Assintel ha già raccolto: ora tocca alla politica. La nostra disponibilità a collaborare è massima, ci aspettiamo ch’essa riesca ad attivare una sana capacità di auto-rinnovamento e di adattamento.
Darwin docet.